Si preannuncia un autunno caldissimo sul fronte del lavoro: il fatto che un’apertura sensibile come quella del primo Ministro non abbia scongiurato la manifestazione del 25 Ottobre mostra il clima di sfiducia che si registra al tavolo della trattativa.
In mattinata, l’ex sindaco di Firenze ha paventato l’ipotesi che anche in caso di licenziamento per motivi economici ci possa essere la possibilità che il lavoratore, oltre ad essere adeguatamente indennizzato, venga reintegrato sul posto di lavoro. Si tratta di un’apertura importante verso le posizioni più estreme del Sindacato ma anche nei confronti del proprio partito, al cui interno nelle settimane scorse vi sono stati non pochi malumori. Malumori che hanno portato l’ex candidato alla segreteria del PD Pippo Civati ad ipotizzare, nemmeno troppo velatamente, una scissione interna al partito democratico. Sempre nella giornata di oggi, il Premier ha comunque ribadito di non aspettarsi né temere agguati da parte di membri del suo stesso Partito.
Un eventuale reintegro del lavoratore licenziato per motivi disciplinari smonterebbe de facto l’intero impianto di riforma del premier Renzi, inizialmente presentato come incentrato sull’abolizione dell’articolo 18.
Il licenziamento di tipo disciplinare consiste nel licenziamento di chi, per il datore di lavoro, non svolge diligentemente il proprio lavoro. In questo caso il lavoratore può fare causa all’imprenditore. Il nodo della discussione è semplice: cosa succede se il lavoratore dovesse vincere la causa? Qualora l’autorità giudiziaria stabilisse l’insussistenza di valide ragioni a sostegno della pratica disciplinare, per la CGIL quel lavoratore dovrebbe avere il diritto a essere reintegrato; i riformisti più spinti, al contrario, sostengono che il lavoratore debba avere diritto al solo indennizzo, senza reintegro.
Accordo ancora lontano quindi. Anche le modalità con le quali il Governo intenderebbe lavorare alla stesura della riforma sono oggetto di diatriba tra i vari attori in gioco, con il sindacato e la minoranza PD allarmati dalla possibilità che il Parlamento deleghi il governo alla scrittura del testo di legge. Un testo che arriverebbe in Parlamento probabilmente blindato dalla questione di fiducia, un’ipotesi inaccettabile tanto per i dissidenti del partito Democratico quanto per i sindacati.
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