Il Sopravvissuto – The Martian: l’istinto di sopravvivenza di Matt Damon per l’ultimo film di Ridley Scott (trailer)
Nel suo continuo barcamenarsi fra soggetti storici ( tra i vari, impossibile non ricordare l’rmai quasi quarantenne “I duellanti”, “1492 – La conquista del paradiso”, “Il Gladiatore”, “Le Crociate” ed il recente “Exodus – Dei e re”) e pellicole di ambientazione fantascientifica (con gli eterni “Alien“, “Blade Runner” sino all’ultimo “Promotheus“), con il suo 25esimo film Ridley Scott torna a cavalcare un racconto ambientato nello spazio, anche se fondamentalmente più attento alle tematiche eterne dell’uomo, e in primis incentrato sulla forza indomabile ed insopprimibile che ruggisce in ogni individuo e che si traduce nell’istinto di sopravvivenza
E così l protagonista de “The Martian – Sopravvissuto” – è un ispirato Matt Damon, che veste, dopo averlo fatto in “Interstellar”, nuovamente i panni di un astronauta abbandonato su Marte e intento ad attendere i soccorsi dal pianeta Terra. Partendo da ciò sembrerebbe una storia sentita già più e più volte. In realtà non è così.
Mark, infatti, abbandonando le tematiche care a Scott di uno spazio vissuto come angosciosa e minacciosa solitudine, non patisce la solitudine e l’assenza di suoi simili sul Pianeta Rosso, riuscendo a sopravvivere in un ambiente così ostile e lontano dalle abitudini terrestri, grazie al proprio ingegno e ad una buona colonna musicale anni 70′, che lo accompagna nel corso delle sue interminabili giornate.
La sopravvivenza spaziale per questo novello Robinson Crusoè, però, ha ha un costo elevato. E’ così che Mark verrà sottoposto a una serie di prove molto ardue che, grazie alla sua tenacia e perseveranza, riuscirà brillantemente a superare.Una domanda però sorge spontanea. Come fa a sopravvivere su Marte? La risposta è: coltivando patate!
Grazie alle sue conoscenze da botanico, quale lui stesso è, riuscirà infatti a inventare un complesso metodo di coltivazione che gli permetterà di coltivare questo tubero terrestre, mantenendosi in vita in seno ad un pianeta ostile raffigurato magistralmente da una fotografia da applausi, in una narrazione che alterna pathos a momenti di straordinaria ironia che accompagnano con calcolata sapienza l’odissea del capitano Michael Watney.
A questo punto il film inizia un flash back dove viene descritto come Mark sia potuto finire su Marte. Durante una spedizione NASA, Ares III, l’intero gruppo di scienziati alla ricerca di nuove forme di vita, tra cui lo stesso botanico, incappò in una tempesta di sabbia. Mark colpito da un masso, non riuscì a tornare a bordo della navicella spaziale restando solo sul pianeta rosso.
Dato ormai per morto, sulla Terra vennero celebrati i suoi funerali fino a quando, grazie a un modulo spaziale, riuscì a comunicare alla NASA di essere sopravvissuto e ancora vivo.
Il film sottolinea perfettamente come la sua lotta per la sopravvivenza sia caratterizzata da momenti diametralmente opposti. In alcuni caratterizzati dalla felicità, per esempio la nascita delle patate, in altri da disperazione e sconforto, come la necessità di dover razionare al minimo il cibo a disposizione per riuscire a sopravvivere, in una continua oscillazione fra speranza e sconforto, con lo spettatore, ammaliato dalla fotografia e rapito dalla battaglia per la vita, che finisce ben presto per ritrovarsi in simbiosi con il coraggioso naufrago.
Il protagonista interpreta dunque la figura eterna dell’uomo e della sua capacità di trovare, grazie ad impassibilità, calma e fede incrollabile, la forza dentro sè stesso, riuscendo a sopravvivere anche all’ignoto quando in grado di mantenere calma e lucidità, aspetti cruciali per la sopravvivenza in un ambiente sconosciuto e a migliaia di chilometri dal pianta Terra, in una lotta che prima che fuori, si svolge dentro sè stessi, contro sè stessi e le proprie più profonde paure.