Il capo dell’importante organizzazione umanitaria, Ban Ki-moon, dinanzi ai 191 delegati che rappresentavano il mondo civile ha esordito puntando il dito contro il governo siriano, reo, secondo il capo dell’ONU, di torture indiscriminate e bombardamenti a tappeto su coloro che combattono il regime di paura voluto dal presidente siriano Bashar al-Assad.
Come a sottolineare le parole di Ban Ki-moon, in Siria si continua a morire senza soluzione di continuità. Il “cessate il fuoco” faticosamente raggiunto dopo mesi di trattative dalle diplomazie USA e Russa è di fatto “morto”, come ha affermato senza giri di parole il segretario di stato a stelle e strisce John Kerry.
Come se non bastasse, i convogli umanitari dell’ONU vengono sistematicamente attaccati allo scopo di impedire agli aiuti di raggiungere le zone più colpite, soprattutto quella di Aleppo, zona che a tutt’oggi vede milioni di persone sopravvivere tra stenti indicibili.
La situazione di fatto è esplosiva: oltre ai combattimenti, la fame e le malattie stanno decimando centinaia di migliaia di vite, e il sospetto che dietro questo ci sia il governo siriano di Assad è fortissimo.
Il portavoce dell’Ufficio dell’Onu per gli affari umanitari (Ocha), Jens Laerke, ha affermato che, a malincuore, l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha dovuto prendere la decisione di sospendere i convogli umanitari poiché troppo alto il pericolo di vita degli operatori, operatori che dall’inizio del conflitto hanno pagato un fortissimo tributo di sangue, con oltre 50 vittime rimaste sul terreno dal 2011, data di inizio delle ostilità.