S’intitola “Big Eyes” la nuova opera cinematografica di Tim Burton, che esce con decisione dal solco dei lavori precedenti del regista californiano. Si tratta di una storia vera, con protagonista èMargaret Hawkins – il cui volto è quello di Amy Adams – una madre single del Tennessee che, in seguito al fallimento del suo primo matrimonio, si trasferisce insieme alla figlia a San Francisco.
Siamo nei primissimi anni Cinquanta e per una donna sola non è facile trovare un modo per sopravvivere senza la presenza di un uomo al suo fianco. Margaret ha la pittura come passatempo e dipinge quadri ispirandosi a sua figlia: tratto distintivo di queste opere sono gli occhi grandi dei bambini raffigurati, caratteristica che poi renderà celebri questi dipinti. Mentre è impegnata a vendere alcuni dei suoi quadri per pochi spiccioli, Margaret incontra Walter Keane (interpretato da Cristoph Waltz, lo straordinario Dottor Schultz di “Django Unchained”, per intenderci ), un uomo seducente e abile venditore di se stesso; si presenta alla donna come un grande artista, ma in realtà è un agente immobiliare ambizioso, che riesce a conquistare il cuore di Margaret. Walter prospetta alla donna un futuro nel quale saranno i proventi delle loro opere d’arte a mantenerli.
L’unione fra i due è ben diversa da come Margaret se l’immaginava e, anzi, si ritrova a dover fare i conti con la forte pressione psicologia che l’uomo esercita su di lei, al punto tale da convincerla a rinunciare alla paternità delle sue opere. I quadri ottengono un inatteso successo e il mondo intero si convince del fatto che la firma “Keane” su ognuno dei quei dipinti appartenga a Walter, che si approprierà della fama che spetterebbe in realtà alla consorte. Margaret è talmente succube del proprio marito che continuerà a lavorare nell’ombra per accrescere la popolarità di Walter, tenendo per sé il segreto che li lega e vedendo così crescere la propria frustrazione. Il finale della storia non può che svolgersi all’interno di un’aula di tribunale: toccherà a Margaret svelare la truffa artistica e accreditarsi agli occhi del Mondo come la vera autrice dei quadri “Big Eyes” che hanno rivoluzionato l’arte americana.
Il nuovo film di Burton esce da quelli che sono i canoni tipici del regista, pur mantenendo uno stile stravagante con venature malinconiche che spesso sono stati presenti nelle sue opere passate. E ad allacciarsi ai protagonisti della filmografia del regista sono, più che i personaggi principali della pellicola, i bambini ritratti sulle tele, con i loro grandi occhi tristi e sgranati, contornati da colori scuri. I punti di contatto, però, si fermano qui: in questa pellicola mancano l’atmosfera dark e lo stile spesso lugubre che ha caratterizzato il percorso da regista di Burton, in favore di una fedeltà totale alla vera storia dei coniugi Keane, ponendo in particolare l’accento sulla debolezza dell’essere umano. A fare da filo conduttore è la tristezza: traspare in maniera evidente da quei dipinti, che molti definiscono “brutti”, ed è la tristezza stessa dell’autrice, relegata dal marito nell’ombra, con la malinconia e il senso di solitudine che emergono dai quadri ad attirare l’attenzione su di essi, stati d’animo condivisibili fra esseri umani che finiscono per creare una forte empatia. Abili nell’interpretazione i due attori protagonisti, capaci di rappresentare i due vertici opposti della coppia: da una parte il marito eccentrico ed estroverso, con nessuna qualità artistica, dall’altra la moglie timida e silenziosa ma allo stesso tempo molto espressiva, proprio come i quadri che dipinge e la cui paternità verrà accertata solo in un secondo momento.