Clint Eastwood al cospetto dell’assurdità della guerra in American Sniper, recensione e trailer
Clint Eastwood nella sua esperienza da regista, ci ha oramai abituato a doverci confrontare con film che lasciano sempre il segno e che, al di là di quelle che possono essere le nostre posizioni in merito ai temi trattati, fanno sempre sperare che goda di ottima salute affinché possa ancora a lungo deliziare gli esigenti palati di chi ama il cinema con la C maiuscola. Questo pensiero viene confermato pienamente dalla sua ultima fatica come regista, ovvero “American Sniper”, la pellicola con la quale torna a trattare il tema della guerra e con cui cerca risposte impossibili a domande difficili, come ad esempio il significato del termine “eroe”.
Il film racconta la storia di Chirs Kyle, che è conosciuto per essere il cecchino più infallibile nella storia delle forze armate USA: i dati ufficiali gli attribuisco,infatti, la paternità di 160 uccisioni di nemici (anche se lui nella sua autobiografia parla di almeno 250) e da tutti coloro che sono entrati in contatto con il mondo militare è considerato una vera e propria leggenda. Ma l’altra faccia della medaglia sono le conseguenze che occorre sopportare per essere il cecchino per eccellenza e che hanno inciso su quella che è la sua vita privata e il suo microcosmo di relazioni. E proprio il tema delle conseguenze di segno opposto che si devono pagare per incarnare un’eccellenza in campo militare e per di più in un ruolo come quello del cecchino, segna tutta la pellicola: a differenza di quanto si potrebbe pensare quella di Eastwood non vuole essere un film celebrativo o inneggiante alla figura di Chirs Kyle e di questo gli va dato senz’altro merito.
parliamo di un’opera, infatti, prima di ogni altra cosa, che rappresenta un’indagine introspettiva dentro l’animo di chi è stato in guerra: ciò appare chiaro fin dalla sequenza con cui la narrazione ha inizio. Kyle, che è interpretato da Bradley Cooper, deve decidere, in pochi istanti, se fare il suo dovere e abbattere una donna e un ragazzino che stanno per compiere un attentato contro un gruppo di soldati statunitensi: sua e soltanto sua può essere la decisione se sparare o meno e affrontare le conseguenze che compiere una delle due scelte che gli si prospettano comporterà.
Da questo momento lo spettatore viene trascinato dentro l’esistenza di Kyle: un tipico ragazzo del Texas di cui vediamo la vita prima della decisione di arruolarsi nei Navy Seals. Eastwood mostra allo spettatore la vita di un ragazzo un po’ingenuo, ma che ha nella volontà di aiutare il prossimo una delle sue qualità migliori, quindi l’incontro con la futura moglie e le azioni sul campo di battaglia dopo l’addestramento. La seconda parte del film mostra, invece, le conseguenze dell’essere stato in guerra, pur essendo una sorta di leggenda vivente e lo spettatore ha quindi modo di toccare quasi con mano le difficoltà nel tornare alla normalità, l’impossibilità per Kyle di tornare ad essere la persona che era prima della guerra e i problemi psicologici e fisici che ne condizionano, come ogni reduce di guerra, la vita da civile.
Bisogna sottolineare come Eastwood ha ottimamente reso sul grande schermo una vicenda che era molto difficile da raccontare, considerando il suo dipanarsi in scenari e piani temporali e psicologici tra loro molto diversi. Il regista è, infatti, riuscito a cogliere l’essenza dell’autobiografia di Kyle e a confezionare un film dove non vi registrano sbavature e dove le scene di guerra (girate al solito magistralmente) coesistono perfettamente con quelle che raccontano la vita dell'”American Sniper” una volta tornato a casa.
Assolutamente promosse a pieni voti sono anche le performance degli attori: su tutti emerge ovviamente Bradley Cooper, che per calarsi appieno nel ruolo ha addirittura imparato l’accento del Texas, ma anche Sienna Miller si è confermata perfetta nella parte della moglie di Kyle. Insomma, un film indubbiamente molto realistico e crudo, anche se non è per nulla celato il messaggio patriottico che il regista ha voluto lanciare e che non troverà d’accordo quanti reputano sbagliata la strategia americana nelle questioni mediorientali. Clint Eastwood ritiene Kyle un eroe, che ha dovuto compiere atti di violenza per difendere quello in cui crede e il proprio Paese. Ma il regista, pur considerandolo tale, non ha nascosto le conseguenze tragiche che il voler servirela propria Nazione comporta: conseguenze che nel caso di Kyle lo hanno addirittura condotto alla morte, essendo stato ucciso da un altro reduce, il quale era affetto dalla “PTSD” (la sindrome post conflitto) e che lui stava cercando di aiutare.
Insomma, arrivato all’età di 84 anni, Clint Eastwood si conferma ancora una volta un grande regista, capace di analizzare a fondo l’animo umano: il suo “American Sniper” sarà senza dubbio un film di cui si parlerà a lungo e che colpirà chi lo andrà a vedere, suscitando profondi interrogativi che, probabilmente, non consentano di formulare risposta alcuna.
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