Uno studio condotto da un team di tre eccellenti ricercatori, quali Terence C. Cheng, Nattavudh Powdthavee e Andrew J. Oswald, ha infatti individuato nei 42 anni il momento della vita in cui inizia la cosiddetta crisi di mezza età. I tre scienziati in questione, rispettivamente della università di Melbourne, della London School of Economics e dell’Istituto per lo studio del lavoro Iza di Bonn, hanno infatti studiato migliaia di questionari di soggetti tra i venti e i settanta anni.
Il questionario riguardava nel dettaglio domande sul benessere e lo stile di vita di persone che vivono in Inghilterra, Germania e Australia. Dai risultati del test si evince come la felicità di ogni soggetto possa essere rappresentata da una parabola con forma U, ovvero si è molto felici da bambini per poi diventare più tristi nell’età di mezzo che presenta infatti un punto di minimo, per poi risalire e ritornare ad una certa stabilità emotiva durante la vecchiaia.
I tre ricercatori fanno quindi coincidere a questo punto di minimo della linea a forma di U il momento in cui si incappa nella tanto temuta crisi di mezza età, ovvero nell’intervallo che va dai quaranta ai quarantadue anni. I dati, seppure precisi e ben studiati, non possono però esser presi in esame in maniera indiscutibile in ogni situazione.
Molti degli elementi che causerebbero infatti la crisi di mezz’età sono infatti differenti da persona a persona, ma soprattutto aleatori e difficilmente misurabili. Ad esempio, componenti come la salute, la stabilità economica, i rapporti familiari e con il partner non sono facilmente misurabili. È inevitabile quindi che le variabili utilizzate dai ricercatori debbano quindi essere poi modificate sottraendo il reddito, la depressione, lo stato di salute e la stessa realizzazione nel proprio lavoro.
Volendo però dare una lettura generalista e globale allo studio, quello che si denota è che in generale l’invecchiamento da solo non costituisce un elemento che causerebbe tristezza. Il vero elemento quindi di demotivazione e tristezza sarebbe, seguendo anche le teorie del noto pioniere Richard Easterlin, il grado di insoddisfazione dato dal mancato raggiungimento di obiettivi e dalle aspettative di vita e di lavoro non raggiunte, dato magari anche dalla mancanza di mezzi e possibilità per raggiungerle e colmarle.