La Sclerosi laterale amiotrofica, anche nota come SLA, è una malattia degenerativa che colpisce i motoneuroni, causando ai pazienti una graduale ma sempre più invasiva perdita del controllo muscolare, che porta fino alla paralisi respiratoria.
Fino ad oggi la medicina non è ancora riuscita a trovare una cura in grado di fare regredire e bloccare questa malattia, ma dopo uno studio condotto da un gruppo di ricercatori italiani presso l’Istituto Mario Negri di Milano, le speranze cominciano a riaffiorare.
Lo studio, coordinato dalla dottoressa Valentina Bonetto e pubblicato sulla rivista scientifica Brain, ha puntato la sua attenzione su una proteina chiamata TDP-43, che risulta essere atipica nei pazienti affetti da SLA.
Grazie a questa intuizione, il team ha concentrato le sue attenzioni sull’enzima responsabile di tale anomalia. Un enzima nominato PPIA, la cui mancanza all’interno dei topi da laboratorio, ha dimostrato un deciso e veloce peggioramento della patologia.
Lo studio evidenzia quindi che il PPIA assuma un ruolo fondamentale nella protezione dei motoneuroni.
Nella patologia si registra infatti un danno a livello dei motoneuroni con la successiva perdita del controllo muscolare, tipica di questa infima patologia.
Stimolando o sostituendo farmacologicamente questo enzima danneggiato o mancante, si potrebbe bloccare il decorso della SLA.
Ricordiamo tutti come, l’estate scorsa, prese piede in tutti i social network il famoso contest “Ice Bucket Challenge” che ha unito sia personaggi famosi, che gente comune, in una causa che dovrebbe toccare i cuori e i portafogli di tutti noi. Ogni persona doveva rovesciarsi un secchio di ghiaccio davanti ad una videocamera e nominare qualcuno a sua volta affinché facesse lo stesso. Lo scopo era donare quanti più fondi si potessero alla AISLA.
Grazie a questa particolare iniziativa, l’AISLA, l’Associazione Italiana Sla, ha raccolto quasi 2 milioni e mezzo di euro.
In Italia, i malati di SLA sono circa 4 mila, 3 ogni 100 mila persone, non possiamo rimanere indifferenti e non fare niente di fronte a questa grossa sfida.
Nel nostro piccolo dobbiamo continuare a credere nella medicina e a donare affinché medici come il team di Milano, possano proseguire con le loro ricerche.
La scoperta fatta grazie a questo lungo studio pare possa finalmente migliorare le cure farmacologiche disponibili per contrastare la malattia, e si possa estendere anche ad altre patologie che sembrano derivare dallo stesso difetto enzimatico, come ad esempio l’Alzheimer.