Addio al sogno della mobilità sociale: laurea sempre più appannaggio delle sole classi abbienti
Chi ha i soldi si laurea, chi invece non ne ha deve spesso rinunciare al più prestigioso titolo di studio. A risentire di questa forbice – che si è andata ampliando nell’arco degli ultimi decenni – è in primo luogo l’economia: pochi laureati nelle classi meno abbienti, infatti, creano una base imponibile minore e di conseguenza costi maggiori a livello sociale.
Come detto, negli ultimi 45 anni è cresciuta in maniera notevole la differenza fra il numero di laureati che appartengono alle classi più abbienti e quelli che provengono invece da famiglie povere, con una sproporzione a vantaggio dei primi che rischia di pesare non poco sull’economia. A rivelare questi dati è stata una ricerca condotta da due università, il Pell Institute e l’Università della Pennsylvania, da cui è emerso che nel 2013 i figli del 25% delle famiglie più abbienti (con un reddito superiore a 108 mila dollari annui) hanno avuto ben otto volte maggiori possibilità di conseguire una laurea in confronto ai figli del 25% della popolazione meno ricca (vale a dire quei nuclei familiari con redditi che non superano i 34 mila dollari all’anno).
In confronto al 1970 la forbice si è allargata poiché all’epoca gli studenti più ricchi avevano cinque volte maggiori possibilità di completare con successo il percorso di studi rispetto ai meno ricchi. All’alba degli anni ’70, infatti, la percentuale di coloro che appartenevano a famiglie ricche che si laureavano era del 40%, mentre nel 2013 è salita al 77%; 37 punti percentuali rappresentano una crescita davvero significativa. Per quanto concerne, invece, la percentuale di figli provenienti da nuclei familiari più poveri capaci di laurearsi, si riscontra una crescita anche in questo caso, ma l’incremento è davvero minimo: si è passati dal 6% del 1970 al 9% dei giorni nostri, dunque appena 3 punti percentuali in più in oltre un quarantennio.
Il paradosso degli ultimi decenni è l’aumento degli studenti meno abbienti che hanno deciso di iscriversi all’università, in confronto ai numeri che riguardano gli studenti di famiglie dagli alti redditi. Se nel 1970 gli studenti non ricchi costituivano il 28% del corpo studenti, oggi sono diventanti circa il 45%. In sostanza, dunque, si è ridotta la differenza per quanto riguarda la partecipazione all’università, mentre è aumentata in maniera considerevole la distanza fra poveri e ricchi quando si parla di chi riesce a completare gli studi e chi invece non ce la fa. Nel 2013, quasi la totalità degli studenti benestanti (99%) si è laureato, mentre nel 1970 a riuscirci erano stati poco più della metà (55%); fra i meno abbienti, invece, solamente il 20% ha conquistato l’ambita laurea, e si tratta di una cifra molto simile a quella registrata nel 1970.
A mantenere inalterato questo dato concorrono diversi fattori: in primis gli studenti meno ricchi vivono al di fuori del perimetro del college e molto spesso devono trovare un lavoro col quale mantenersi, poiché manca il supporto a livello finanziario dei genitori; inoltre, le borse di studio non sono aumentate in maniera proporzionale ai costi di accesso all’università, che in questo arco di tempo sono raddoppiati.
Tali cifre sono preoccupanti, in primo luogo perché l’Università viene considerata il veicolo della mobilità sociale, lo strumento migliore per sollevarsi dalla povertà. Grazie ad una laurea, infatti, aumentano le possibilità di guadagnare, con annesso anche uno stile di vita più sano.
Una popolazione con un livello di formazione elevato garantisce benefici all’intera società e un tasso migliore di laureati significa maggiore base imponibile, minor necessità di programmi di assistenza sociale e una migliore partecipazione alla vita politica e civile.