Dalla Cassazione arriva l’invito a prestare la massima attenzione al livello di pericolosità raggiunto dai social network, soprattutto quando ad utilizzarli sono dei minori. In particolare, secondo la stessa Cassazione, non deve essere sottostimata la portata degli abusi commessi su pc rispetto a quelli perpetrati a scuola o in altri ambiti. Pertanto, la guardia da parte dei genitori e di chi deve monitorare sull’accesso a tali forme di socializzazione non deve essere abbassata. Per diversi ragazzi i social network finiscono per affiancare, se non direttamente per sostituire, i rapporti interpersonale.
La richiesta di approfondimento su questi aspetti è giunta all’interno di una sentenza emessa dalla Terza sezione penale; quest’ultima, redatta da Vincenzo Pezzella, ha indicato come lo “strumento telematico”, sia ormai alla portata anche dei più piccoli, grazie alla sua enorme diffusione. Anche il fatto di poter accedere facilmente ad Internet, non solo attraverso il pc, ma anche utilizzando dispositivi portatili quali tablet o smartphone, permette di raggiungere i propri amici in qualsiasi momento. Ma tali strumenti vengono utilizzati anche per giocare, per fare i compiti o, semplicemente, per essere costantemente informati su quanto avviene nel mondo circostante. Secondo gli stessi giudici della Cassazione per quanto questa moda possa essere considerata, a seconda dei contesti e delle singole tipicità, positiva o negativa, la realtà è che i social network attirano soprattutto i giovani. Proprio tale diffusione quindi rende assolutamente prioritario valutare con estrema attenzione gli abusi che possono perpetrarsi attraverso l’utilizzo degli stessi social. Ad esempio, anche gli atti sessuali virtuali nei confronti dei minorenni devono essere considerati dei fatti gdi grave entità.
Addirittura, tale forma di violenza può avere un carattere anche più “subdolo” e pericoloso di altri abusi perpetrati non sul piano virtuale. Infatti, è teoricamente più semplice vigilare e proteggere un minore quando questo si trova ad agire in un ambiente del quale i genitori hanno una conoscenza sufficiente. Più difficile, invece, risulta controllare cosa un bambino stia facendo con il computer chiuso nella sua stanza anche perché, in questi casi, si tende a considerare lo stesso minore più al sicuro perché, appunto, tenuto all’interno delle mura di casa.
La sentenza che ha indotto la Suprema Corte a lanciare un monito per un controllo più severo nei confronti del mondo dei social network è stato il ricorso effettuato da un “ultracinquantenne”. Quest’ultimo era stato accusato di aver compiuto atti sessuali con due bambini, uno di 9 anni e uno di 11, utilizzando una web cam per la trasmissione di filmati tramite un social network. Dopo una sentenza di primo grado che lo aveva condannato a 12 anni, era arrivata quella di secondo grado che aveva abbassato la reclusione a 9 anni. Quest’ultimo ricorso, invece, è stato rigettato quasi per intero dalla stessa Cassazione; solo l’accusa di prostituzione minorile ha avuto accoglimento, e porterà ad una rideterminazione della pena. In sostanza, è stato indicato come la condotta perpetrata dall’uomo, che pagava ricariche telefoniche in cambio di foto e di video in abiti succinti da parte di minorenni, aveva le caratteristiche per entrare in quelle ipotesi di reato che sono disciplinate dal secondo comma dell’articolo 16 bis e non dal 1° comma. Per tale motivo, non è stato possibile considerarlo come reato di induzione alla prostituzione minorile.