Con una evasione che sembra quasi uscita da una avvincente sceneggiatura da film, il narco-boss messicano Joaquin Guzman, conosciuto nell’ambiente come “Chapo“, è riuscito a fuggire da un carcere di massima sicurezza nel quale era detenuto dal mese di Febbraio dello scorso anno.
Guzman, che non è nuovo ad imprese del genere, essendo già evaso una prima volta nel 2001, ha utilizzato scale e condotti del carcere, e poi un tunnel che alcuni complici avevano scavato, probabilmente da settimane, per permettergli di fuggire. Una fuga che riporta a quelle di molti film statunitensi del genere carcerario ed in particolare ad “Alcatraz“. L’evasione di Joaquin Guzman è avvenuta nel corso della notte tra il 12 ed il 13 Luglio e la notizia ha suscitato sia incredulità che la grande ironia di milioni di suoi concittadini, che vedono così messa in ridicolo la “sicurezza” delle carceri.
L’evaso 58enne, che la rivista americana Forbes ha classificato tra gli uomini più ricchi del Pianeta, è anche noto per essere spietato e violento, ed ha guidato, fino al suo arresto, uno tra i più temibili cartelli di narcotrafficanti, quello di Sinaloa. Nel mese di Febbraio dello scorso anno era stato arrestato mentre si trovava nella città di Mazatlan, lungo la costa del Messico, ed il suo arresto era stato considerato un grande successo per la polizia messicana, e salutato con piacere anche dalle autorità degli Stati Uniti, dove Guzman era temuto per le sue attività di traffico di droga. In quella occasione la polizia era riuscita a metterlo in trappola, ed aveva interrotto una latitanza che durava da tredici anni, dopo la sua fuga da un’altra prigione di massima sicurezza, quella di Jalisco. Il metodo attuato in quella prima evasione fu del tutto diverso con Guzman che si nascose dentro ad un carrello di panni sporchi, riuscendo a passare sotto il naso delle guardie.
Ora il narco-boss si trovava in un altro carcere, nella zona di Toluca, che veniva ritenuto a prova di fuga, ed a dare la notizia è stato il responsabile della sicurezza dello stato messicano, Monte Alejandro Rubido.
La fuga è avvenuta alle 21.00 di domenica 12, quando il “Chapo”, si trovava nel settore docce, dopo aver trascorso una giornata apparentemente tranquilla, ed aver preso regolarmente i medicinali. La sua mancanza dalla cella è stata notata grazie alle immagini della videosorveglianza e l’allarme è scattato immediatamente. L’intero carcere è stato “passato al setaccio” dalle guardie ed alla fine si è scoperto un buco sul pavimento delle dimensioni di mezzo metro per mezzo metro, tramite il quale si accedeva ad un tunnel posizionato a circa un metro e mezzo sotto il filo del pavimento. A sua volta dal tunnel si arriva ad un cunicolo verticale che si può raggiungere per mezzo di una scala e che permette di raggiungere un passaggio di 70 centimetri di larghezza e 170 di altezza. Giunto a quel punto Guzman avrebbe percorso un altro tunnel della lunghezza di un chilometro e mezzo, per mezzo del quale è uscito. All’uscita del tunnel, in una casa abbandonata, sono stati trovati gli attrezzi per lo scavo e bombole di ossigeno, usate per scavare il tunnel e tracce della presenza di varie persone che hanno eseguito lo scavo. Dopo la sua dichiarazione, Rubido non ha voluto rispondere alle domande dei giornalisti presenti, ma si è saputo che immediatamente dopo la fuga è partita una grandiosa operazione di rastrellamento nei dintorni della struttura carceraria, ed anche l’aeroporto più vicini, quello di Toluca, è stato chiuso al traffico. Al momento della sua prima fuga dal carcere Guzman riuscì a rifugiarsi in Guatemala, ed ora tutti si domandano se anche questa volta cercherà di riparare all’estero.
Naturalmente si moltiplicano gli interrogativi su come sia stata preparata questa fuga, che indubbiamente oltre alla fase esecutiva, ha avuto bisogno anche di una pianificazione lunga e sofisticata. Secondo lo scrittore Don Winslow, che ha scritto “Il potere del cane,” che ha per argomento il narcotraffico e si ispira, almeno in parte proprio allo stesso Joaquin Guzman, il “Chapo” non deve essere immaginato come la solita “caricatura” di un boss messicano, bensì come un businessman brillante e spietato nello stesso tempo, capace di vincere le battaglie contro i cartelli rivali e dotato di una disponibilità economica quasi sterminata. Ed è per questo che lo scrittore è convinto di come la fuga, con tutta probabilità, sia ammantata di ben altro romanticismo, poichè qualcuno deve aver “visto” qualcosa, anche pensando che la precedente evasione “costò” al “Chapo”, 2 milioni e mezzo di dollari, anche se questo problema, ironizza, è l’ultimo per Guzman
“Immagino che i prezzi siano saliti. Ma i soldi rappresentano l’ultimo problema del Chapo”.
Tanto che Winslow si domanda cosa facesse Guzman nella zona docce, e non dubitando dell’esistenza di un tunnel (pur domandandosi come sia stato scavato senza che nessuno si accorgesse di un passaggio lungo 1, 5 km e dotato di ventilazione e illuminazione) tanto complesso, lo scrittore non crede che il boss dei boss si sia dato alla macchia utilizzando una via di fuga tanto angusta. Per Winslow, quindi, difficile che il Chapo si sia comportato come uno Steve McQueen qualunque o dell’ingenuo Tom Hanks protagonista de “Le ali della libertà”, ipotizzando una rete di complicità, l’ennesima, assolutamente ampia.
Complicità immancabili per un uomo straordinariamente ricco come, Joaquin Guzman, la cui unica paura è quella di una possibile estradizione negli USA.
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