L’anoressia o più comunemente chiamata “Anoressia Nervosa” è considerata una vera e propria malattia mentale che affligge principalmente le ragazze in età adolescenziale, dai 12 ai 25 anni (anche se sempre il fenomeno sta colpendo i bambini sin dalla più tenera età) ed ha come caratteristica principale la paura convulsa di ingrassare e la ricerca smisurata della magrezza a tutti i costi. Generalmente si manifesta con l’entrata nell’età della pubertà, quando specialmente le ragazze devono affrontare cambiamenti fisici e psicologici importanti ed i primi approcci con la propria sessualità.
La ricerca della magrezza a tutti i costi è finalizzata al raggiungimento di un obbiettivo spesso edificato sui malsani canoni di bellezza dettati troppo liberamente dalla nostra società moderna e che vengono presi come esempio assoluto dalle ragazzine odierne.
I primi sintomi sono il rifiuto totale del cibo nonostante l’appetito e il convulsivo controllo del peso; chi soffre di anoressia dà un’eccessiva importanza all’aspetto fisico e si autoconvince che più il fisico dimagrisce e deperisce, più ci si avvicina alla perfezione dei canoni imposti da certi campi come ad esempio la moda, dove l’anoressia è altamente diffusa non solo tra le modelle giovanissime.
L’altra faccia del disturbo di comportamento alimentare viene comunemente chiamato Bulimia.
La ragazza bulimica a differenza di quella anoressica mangia, a volte arriva anche ad ingozzarsi fino a quasi soffocare. Subito dopo la grande abbuffata, che avviene solitamente di nascosto dagli altri componenti della famiglia, scatta il senso di colpa che porta la bulimica ad indursi il vomito o a somministrarsi diuretici e lassativi; generalmente nella bulimia si alternano periodi di grandi abbuffate seguite da vomito autoindotto a periodi di restrizione alimentare totale.
Il circolo autodistruttivo della Bulimia è caratterizzato dall’ossessione per il peso corporeo, un circolo vizioso pericoloso che implica dieta ferrea seguita da abbuffate per attenuare il forte senso di fame e vomito autoindotto per placare i sensi di colpa.
Secondo un attuale studio presentato dallo psicologo Australiano Jhon Toussaint della “Charles Sturt Uiversity“, ci sarebbe uno stretto, strettissimo legame tra il cattivo rapporto tra padre e figlia ( o comunque tra la loro relazione) e l’insorgenza dei disturbi di comportamento alimentare.
Secondo l’autore di questa ricerca, le ragazze che hanno un cattivo rapporto con il papà sviluppano più facilmente problemi di accettazione del proprio corpo e della propria femminilità; tutto ciò esonera le madri dal ruolo di principali responsabili dei disturbi alimentari delle proprie figlie.
Dallo studio emerge che le pazienti con un padre distante, assente, di cui hanno percepito un forte senso di rifiuto soffrono maggiormente di Bulimia, contrariamente chi ha avuto accanto un padre invadente ed estremamente protettivo ha sviluppato più facilmente l’Anoressia.
Certamente ciò non significa che sempre si debba attribuire al rapporto con la figura paterna, lo sviluppo di un disturbo alimentare dalla genesi ben più complessa, dove alla base di tutto vi è l’insicurezza e la difficoltà di accettare il proprio corpo che cambia.
Il padre è la prima persona nella vita dei figli a dover dare l’esempio positivo di una vita sana, senza idealizzare i modelli malsani imposti dalla società, concentrandosi sulla vita dei propri figli e dimostrando ammirazione e rispetto per le donne. Una figlia che riesce a sentirsi amata, rispettata e accettata con tutti i suoi difetti sarà una donna adulta sicura di sè capace di affrontare le difficoltà del mondo che la circonda.