Ci è voluta una minaccia globale come lo Stato Islamico per avvicinare due popolazioni storicamente nemiche come iracheni e curdi, questi ultimi spesso perseguitati ma oggi indispensabili nella lotta contro il sedicente Califfato.
Dopo i rallentamenti delle ultime 24 ore l’offensiva di terra e aria per riconquistare Mosul, ultima roccaforte in Iraq dell’ISIS, ha ripreso vigore arrivando sempre più vicino al centro urbano della seconda città più importante del Paese. I Peshmerga (l’esercito curdo in Iraq) stanno proseguendo la loro avanzata assieme alle truppe regolari del Paese, riuscendo a superare almeno temporaneamente le rispettive differenze culturali ed etniche. A coordinare ed aiutare l’avanzata di terra sono, ancora una volta, i bombardamenti aerei da parte della coalizione occidentale a guida statunitense, che aiutano ad aprire la strada alla fanteria e ai mezzi corazzati curdo-iracheni.
Non è comunque il solo segno tangibile della presenza della comunità internazionale: Francia, Italia ed altri Paesi hanno da tempo inviato contingenti di uomini e mezzi per rinforzare le truppe locali e migliorare il loro addestramento, nonchè per fornire un aiuto nella difesa di punti strategici come la Diga di Mosul (per la quale sono impegnati anche 400 soldati italiani). A preoccupare gli operatori internazionali, oltre alla situazione politico-militare, è soprattutto quella umanitaria.
L’UNHCR, il ramo immigrazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, teme un esodo di profughi di proporzioni quasi bibliche, e dall’Iraq gli inviati locali hanno fatto sapere di star procedendo alla costruzione di altri 22 campi profughi, anche in previsione del possibile esodo da Mosul. In città, secondo la Cia, sarebbero infatti presenti tra i 5 mila e i 10 mila combattenti ma almeno un milione di civili, e proprio per questo il comando militare iracheno ha fatto sapere di essere pronto a lasciar aperto durante l’imminente assedio di Mosul un piccolo corridoio per i profughi.
Il timore è che l’assedio stesso possa durare anche settimane o addirittura mesi, se tutti i combattenti presenti rifiuteranno la resa, e che a Mosul possa consumarsi una tragedia umanitaria paragonabile a quella di Aleppo, in Siria.