Italia

Diritto alla morte: l’Italia è divisa

Uno degli argomenti più scottanti di sempre, il diritto alla morte o suicidio assistito è fonte di grande polemica. Se molti sono d’accordo, anzi dichiarano che ogni essere umano ha l’assoluto diritto di decidere quando morire, moltissimi altri non lo sono. In casi come quelli del Dj Fabo rimasto gravemente disabile a seguito di un incidente stradale la Consulta stabilisce che “agevolare la fine della vita” non è perseguibile dalla legge.
Condizioni così gravi non risultano compatibili alla dignità umana per alcune persone che devono essere libere di scegliere un suicidio assistito.
La lotta sul diritto di morte va avanti da 12 anni, proprio perché non si riesce a trovare un punto d’incontro con gli esponenti religiosi cattolici.

Bisogna tener presente che l’Italia è un paese molto più libero ormai rispetto a 100 anni fa, per cui lo stesso articolo 580 del codice penale della Costituzione che mette sullo stesso piano il suicidio assistito e l’istigazione ad esso dovrebbe essere rivisto. Il tesoriere Marco Cappato che ha accompagnato in Svizzera Dj Fabo sarà assolto nel processo a Milano. Egli considera un dovere aiutare chi desidera metter fine alla propria vita nel momento in cui le condizioni siano così gravi da non considerare più dignitosa la stessa esistenza.

Un altro caso clamoroso fu quello di Eluana, il cui padre chiede ancora al Parlamento di riflettere sulla creazione di una legge per la libertà di decidere fino alla fine della propria vita.
Il mondo è totalmente diviso al riguardo, infatti i medici cattolici e molti politici non accettano la decisione. Peraltro le richieste di suicidio assistito aumentano sempre di più e Salvini si dichiara contrario al suicidio imposto per legge dallo Stato.
“I pazienti tenuti in vita artificialmente e affetti da patologie assolutamente incurabili che portano a gravi sofferenze psicologiche e inaccettabili, hanno il diritto di decidere in maniera del tutto autonoma di metter fine alla propria vita. Non è quindi punibile chi accompagna il paziente in questa scelta”, queste le parole della Corte.

Ogni caso richiederà comunque una verifica precisa delle reali condizioni del paziente, (delle patologie irreversibili e della sofferenza insopportabile) insieme a una decisione comune sui metodi di esecuzione.
Sono precauzioni inevitabili per non istigare al suicidio persone vulnerabili ma fini ad assecondare esclusivamente le persone che riportano danni fisici e psico motori talmente gravi da non sopportare più un’esistenza del genere.