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Addio a Paolo Rossi, il Pablito dei Mondiali dell’82

Paolo Rossi è stato sicuramente il simbolo dell’Italia del calcio che conta, quello che vince e può sedersi al tavolo dei grandi in un campionato mondiale nel quale riesce a battere tutti. A quei Mondiali dell’82 non doveva neanche esserci. Due anni prima, infatti, era stato incriminato in quella che è passata alla storia come la prima inchiesta su Calciopoli, per un giro di calcio-scommesse clandestine nelle quali era stato coinvolto in modo inconsapevole. Aveva poi ripagato la fiducia dell’allenatore Bearzot con una tripletta al Brasile (unico calciatore al mondo a riuscire in questa impresa), due goal alla Polonia nelle semifinali e uno nella finalissima contro la Germania.

Fin da bambino, come ha raccontato nella sua autobiografia scritta a quattro mani con la moglie che è giornalista, sognava di vincere qualcosa di importante nel calcio, lo sport che amava e che era la sua ragione di vita. Il suo desiderio più grande? Giocare in quegli stadi importanti di cui il padre gli raccontava in continuazione. Ed è riuscito a realizzarlo quel sogno, anno dopo anno, goal dopo goal, passando dal Como al Vicenza, dal Perugia alla Juventus, finendo poi la sua carriera al Milan e al Verona. Di lui diceva il grande Pelè che era uno dei più grandi calciatori della storia e aveva il rammarico di non aver mai potuto giocare insieme nella stessa squadra.

Nella sua carriera ha vinto sia il Pallone che la Scarpa d’Oro, è stato insignito del Collare d’Oro che l’onorificenza più importante che il Capo dello Stato può concedere ad uno sportivo. Dopo aver lasciato il calcio giocato, negli ultimi anni lavorava come commentatore sportivo nelle principali trasmissioni sia della Rai che di Mediaset.