Economia

C’era una volta il Belpaese: crollo per l’Italia come meta turistica, perse 10 posizioni dal 2004

Non passa giorno senza che qualche indicatore sociale od economico confermi come il nostro Paese sia nel mezzo di una crisi di cui non appare vicina la conclusione. Questo incide anche sul fascino che l’Italia è in grado di esercitare sulle imprese straniere e, in generale, verso chi con esso pensa di interfacciarsi. E che il “made in Italy” stia scontando pesantemente questo stato di cose è confermato anche da alcuni esperti del settore turistico, i quali hanno certificato come il “marchio” Italia non attira più come un tempo, dal punto di vista turistico.

Questo dato, che sicuramente non può far piacere, considerando il patrimonio di bellezze naturali ed artistiche di cui la Penisola è ricca, è emerso nel corso del “Country Brand Index”: per capire il calo verticale di cui il nostro Paese è stato protagonista basta pensare al fatto che nel 2004 eravamo primi nella classifica redatta sulla base delle opinioni di migliaia di “opinion maker”, mentre alla fine di questo 2014 siamo malinconicamente scesi in diciottesima posizione e secondo le proiezioni il trend sarà negativo anche nel prossimo futuro.
Il Belpaese è ancora molto amato dagli stranieri, i quali non hanno certo dimenticato o perso la consapevolezza di quanto l’Italia possa offrire da un punto di vista artistico, culinario e paesaggistico. Tuttavia è il contesto nel quale gli stranieri si trovano a doversi muovere a far loro passare la voglia di recarsi in Italia. Nel rapporto reso pubblico al “Country Brand Index” è emerso come, oltre alle varie problematiche che attanagliano il nostro Paese, ad incidere negativamente sia anche la gestione del settore da parte di chi vi lavora ed investe, cosa già di per se grave, ma che lo è ancora di più se si pensa al boom che il settore sta vivendo a livello globale.

Il rapporto ha messo nero su bianco che il giro d’affari del settore, per quanto riguarda l’Italia, è stato di entità inferiore di quanto garantito dalla classe dirigente e dagli analisti, fermandosi ad un 4% del PIL, che è diventato poi un 10% includendo anche tutte le attività ricadenti sotto la nozione di “indotto”. Questo dato probabilmente rafforzerà la convinzione di quanti, Premier in testa, ritengono che al Belpaese manchi una strategia efficace e che il limite contro cui si scontra la ripresa del settore turistico sia l’incapacità di raccontare con le giuste modalità quello che è il “Made in Italy” in campo culturale e artistico.
Tuttavia, il rapporto ha messo l’accento sul fatto che non può bastare una campagna di marketing ben fatta per riuscire a ridare vigore al settore del turismo in Italia e che vi sono diverse problematiche che occorre affrontare per poter ambire a riconquistare il primo posto in graduatoria. Ad esempio, una delle note dolenti è il fatto che per quel che riguarda l’indicatore consistente nel rapporto qualità-prezzo l’Italia abbia  perso quasi 30 posizioni, passando dalla ventottesima alla cinquantasettesima piazza. Inoltre, ad incidere in maniera fortemente negativa sul “comparto” del turismo è anche quella che viene giornalisticamente definita come la malapolitica (ovvero tutto l’insieme di scandali ed indagini che ormai coinvolgono periodicamente forze politiche ed esponenti del mondo produttivo).

Questa, insieme ai problemi connessi ad infrastrutture obsolete, scarso sviluppo tecnologico il cui emblema è il ritardo nella banda larga, scarsità degli investimenti su scuola e ricerca, fenomeni di razzismo che sono una cartina di tornasole di come il sistema dei valori nella società nostrana stia mutando in peggio, ha prodotto il crollo certificato nel corso del “Country Brand Index” e il percorso per recuperare il terreno perduto sarà tutt’altro che breve.

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