Nell’ultima udienza sul caso di omicidio di Elena Ceste, il Gup di Asti, giudice Roberto Amerio ha comunicato, non necessitando di un ulteriore perizia da affidare ad un nuovo tecnico, di essere in possesso di tutti i parametri periziali per poter procedere con la fase processuale.
Il corpo di Elena Ceste, sparita nel Gennaio del 2014 da Costigliole d’Asti era stato ritrovato nudo, a pochi chilometri dalla residenza che la donna divideva col marito, Michele, e i quattro figli. Michele Buoninconti rimane nella rosa ristretta degli indiziati nel caso che ha coinvolto numerosi esperti del campo e tecnologie estere estremamente avanzate. L’uomo aveva avvisato la Polizia dello Stato della sparizione della moglie con un ritardo che è stato giustificato in maniera estremamente accurata tramite i presunti spostamenti fatti dal Buoninconti stesso che, però, lascia diverse lacune logiche nelle proprie risposte.
Nonostante difesa ed accusa concordino che il corpo ritrovato in avanzato stato di decomposizione avvolto in un telo da serra nel Rio Mersa sia quello di Elena Ceste e i periti di ambo le parti confermino che il corpo era nudo nel momento della deposizione in loco, sono pochi i punti in comune tra le due tesi, tra cui proprio la causa della morte. A cominciare dalle stesse analisi compiute dalla due parti sugli abiti della donna, consegnati dal marito ai Carabinieri lo stesso giorno della scomparsa.
Da un lato, il consulente dell’accusa Andrea Pavan che, adottando tecniche forensi australiane, ha ricondotto “con ragionevole certezza ed elevata probabilità” gli stessi al terreno del rio Mersa, vista la presenza di zolfo e fosforo, elementi abbondanti presenti nel fango degli abiti, ma non nel cortile dell’abitazione. Di parere opposto la dottoressa Rosaria Di Maggio che, al contrario, ha contestato l’altrui perizia, sia per l’esiguo numero di particelle esaminate ( 13 contro le 2000 necessarie), sia per la presenza massiccia di carbonio, elemento carente nel terreno del ritrovamento del cadavere.
Tesi contrastanti che riflettono le diverse ipotesi avanzate: la difesa sostiene, infatti, l’allontanamento volontario della donna durante un crollo psicotico che si è spogliata ed infine allontanata fino al punto in cui è stata ritrovata e la relativa morte per assideramento. Michele viene, inoltre, scagionato a loro parere in quanto viene sostenuto l’uomo fosse presso la residenza del vicino ancora in cerca della moglie scomparsa.
L’accusa si basa, al contrario, oltre sulle incongruenze nelle deposizioni del marito di Elena, sulla posizione in cui in cui è stata ritrovata, a faccia in giù e in maniera composta, senza il minimo segno di aver cercato di cercare il proprio calore corporeo per difendersi dall’ipotermia, tesi approciabile solo in caso la donna fosse stata già priva di conoscenza o morta. Inoltre il cellulare di Michele è stato rintracciato in movimento in base agli agganci alle celle telefoniche dell’area, tra cui la famosa 415, che lo porrebbe già lontano da casa e dal vicino coinvolto.
Mentre Accusa e Difesa lottano e , in attesa che la parola passi alla difesa ( il pm Laura Deodato ha richiesto 30 anni di carcere per il vigile del fuoco), non c’è ancora pace per la vittima che è oggetto come sempre di un circo mediatico crudele.