L’impatto sull’economia reale è già evidente e potrebbe lasciare strascichi sul medio-lungo periodo nei tempi sui settori di business più correlati all’emergenza, tra cui annoveriamo: hospitality, food&beverage, commercio al dettaglio, organizzazione di eventi. Fortemente penalizzato anche tutto il relativo indotto.
Tali criticità si sono ben presto riflesse nell’andamento borsistico, con tutte le maggiori piazze del Vecchio Continente in profondo rosso. I numeri sono tra loro alquanto simili: nella mattinata odierna Milano, epicentro della crisi, ha lasciato lascia sul campo il 2,91%, Parigi è in calo di oltre il 3%, negativa anche Madrid (-3,34%). La piazza più colpita tuttavia è Francoforte che alla stesura dell’articolo registra un poco confortante meno 3,8%.
Fin dall’aggravamento della crisi del coronavirus in Europa l’attenzione degli esperti era rivolta anche e soprattutto a quello che sarebbe stato l’impatto sull’economia americana, polmone dell’economia globale e reduce da una rilevante fase espansiva.
Motivo di preoccupazione principale è chiaramente la tenuta del sistema sanitario privatistico statunitense. Per ora la questione dei costi di tamponi e analisi (scaricata in parte sui cittadini) è stata marginale, ma con l’aumento dei casi sembra improbabile che il sistema possa reggere senza l’iniezione di risorse pubbliche. Tale preoccupazione si è riflessa ieri su Wall Street, dove il Dow Jones ha chiuso con un sonoro -4,42%, mente le perdite del Nasdaq si sono attestate a quota -4,61%.
In perdita ormai quasi cronica le asiatiche, con segno rosso ininterrotto da una settimana: non solo Hong Kong (-2,42%) ma tutte le piazze finanziarie dell’area pacifica scontano la crisi del coronavirus, da Shangai a Seul. Su Tokyo pesano anche i numeri dell’economia nipponica, in sofferenza per invecchiamento della popolazione e debito ai massimi storici.
In caduta libera il prezzo del petrolio: le ultime variazioni giornaliere indicano la quotazione del Brent a 50,39 $, ed il WTI sotto 45,10, con una variazione negativa di oltre 13 punti percentuali nell’ultima settimana.
Doveroso segnalare il boom dell’oro, che si conferma bene rifugio per eccellenza, a quota 1627 dollari l’oncia, dopo aver toccato il prezzo record di 1686 dollari l’oncia durante la mattinata del 24 febbraio.