Nonostante sian ormai trascorsi 30 anni dalle “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana” di Alma Sabatini, ancora troppo spesso, per certe figure istituzionali o professionali, si usa il maschile anche quando sono ricoperte da donne. Anzi, in alcuni casi, sono proprio le interessate che, per sottolineare l’importanza della loro carica, utilizzano le declinazioni maschili.
La confusione, così, regna sovrana. Anche nel mondo dell’informazione (che dovrebbe essere “volano dell’uso corretto della lingua“).
A fare un po’ di chiarezza, ci prova un piccolo volume: “Donne, grammatica e media“, scritto da Cecilia Robustelli, docente di “Linguistica italiana” presso l’ateneo modenese e consulente della prestigiosa “Accademia della Crusca”.
La Robustelli prova a “mettere in ordine” la materia ed a suggerire il giusto termine per ogni ruolo.
Il manuale, che dovrebbe essere diffuso negli istituti scolastici (ma anche nella redazioni) è stato voluto dall’associazione di giornaliste “Gi.U.Li.A” e si rivela un prezioso strumento per tutti.
Recentemente, proprio l’Accademia della Crusca è intervenuta sull’importanza che l’informazione non solo riconosca, ma rispetti tutte quelle differenze grammaticali e semantiche ed utilizzi un linguaggio corretto ed aderente alla realtà.
Come ricorda la stessa Cecilia Robustelli:
“Il linguaggio contribuisce a costruire modelli culturali e quindi anche i modelli di genere maschile e femminile: per questo è molto importante nella lotta contro la discriminazione. I modelli di genere cambiano nel tempo: oggi, per esempio, è necessario che il linguaggio rifletta il tramonto del modello di omologazione delle donne al paradigma maschile – che rappresentava un vero traguardo solo poche decine di anni fa! – e sostenga quello che si basa sulla consapevolezza delle differenze di genere fra uomini e donne”.
Troppe volte, il linguaggio comune, vede associare caratteristiche femminile a modelli con valenza negativa. O ancora, nasconde, dentro espressioni maschili, la presenza femminile. Si continua ad utilizzare la forma maschile per tutti i titoli di prestigio (istituzionali o professionali) riferiti ad un donna. Infermiera, maestra e velina sono forme accettate senza problemi, mentre Ministra, ingegnera ed architetta no. Nonostante questo sia contro la legge. Ricordiamo, infatti, che la “Convenzione di Instanbul” sancisce l’obbligo di:
“Promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull’idea dell’inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini”.