LA RIVELAZIONE DEL NEW YORK TIMES – Al momento si tratta solo di un’indiscrezione, peraltro riportata senza citare le fonti, ma potrebbe essere il primo passo verso l’incriminazione dell’intero sistema sportivo russo in merito a quello che viene oramai definito doping di Stato. Le rivelazioni pubblicate di recente sul New York Times, tuttavia, rischiano di destabilizzare ulteriormente l’immagine dello sport in Russia e di aggravare le già pesanti accuse formulate dal CIO (Comitato Olimpico Internazionale): alcuni alti “papaveri” della Federazione di atletica del Paese di Vladimir Putin avrebbero infatti confermato l’esistenza di un vero e proprio “programma” sponsorizzato dal Governo e che mirava a falsare i risultati di diversi atleti in più di trenta discipline in vista non solo delle Olimpiadi invernali tenutesi a Sochi, ma anche in altri importanti appuntamenti internazionali.
LA REPLICA DI MOSCA – Quello che si configura, in attesa di ulteriori conferme, potrebbe essere il caso più eclatante di complotto sportivo messo in atto non solamente da un atleta o all’interno di un singolo sport, ma da una intera federazione che avrebbe ideato uno “schema di doping” sistematico e capace di eludere per anni i controlli, al fine di incrementare il già elevato bottino di medaglie che la Russia riscuote in ogni competizione sportiva.
Un altro passaggio interessante dell’articolo apparso sul New York Times riguarda, inoltre, la motivazione che avrebbe spinto il governo a finanziare un’operazione su così vasta scala: a detta dei funzionari intervistati, i vertici dello sport russo avrebbero agito così per difendersi, poiché convinti che diversi Paesi occidentali abbiano goduto, in passato, di favori da parte del CIO. Tuttavia, a seguito della pubblicazione di questi “rumors”, dal Cremlino è arrivata una secca smentita: alcuni portavoce del presidente hanno bollato come “ridicola” l’idea del doping di Stato, spiegando che nessun funzionario ha mai parlato pubblicamente del suddetto sistema.