Fu nel 1970 che questo terzo tipo di epatite (non–A, non–B) è stato identificato e associato principalmente ad eroinomani, alcolisti, e pazienti che hanno ricevuto trasfusioni di sangue. Attualmente ci sono circa due milioni di italiani infetti da quello che oggi si chiama epatite C. Questo cosiddetto virus non sembra comportarsi come una normale malattia infettiva, ma si limita a un gruppo ben definito d’individui che hanno contratto la malattia solo con il contatto sangue-sangue, in genere attraverso l’uso di droghe per via endovenosa e trasfusioni. Nonostante questo fatto, nonostante manchi il rispetto di alcuni parametri per definirlo “virus”, i virologi continuano a sperare di identificare come tale continuando la ricerca.
L’epatite B è una malattia ematica, viene trasmessa quando il sangue infetto o altri fluidi corporei si immettono nel sangue di un’altra persona, di solito attraverso un taglio nella pelle. La trasmissione può avvenire attraverso il contatto sessuale, la condivisione di aghi di droga per via parenterale, attraverso tatuaggi o body-piercing con strumenti non sterili e anche attraverso la condivisione di spazzolini da denti o rasoi. Gli operatori sanitari sono vulnerabili alla trasmissione dell’epatite B, così come lo sono i bambini nati da madri infette.
Nel 1982, il laboratorio di ricerca della Chiron Corporation, situato vicino a San Francisco, iniziò a testare il “virus” sugli scimpanzè. Nessuna delle scimmie contrasse la malattia. Per il passo successivo gli scienziati analizzarono il tessuto epatico infetto dal virus. Ancora una volta, nessuno virus poteva essere identificato. Infine, i ricercatori scoprirono una modifica nelle informazioni contenute in una molecola nota come acido ribonucleico (RNA), che pare fosse legata alla presenza del virus nell’individuo ospite. Interessante, però, notare come queste informazioni genetiche siano presenti sono nella metà dei malati di epatite C.
In seguito, la squadra di Chiron fu effettivamente in grado di ricostruire parti del virus misterioso. Tale risultato portò allo sviluppo di un test per rilevare la presenza di anticorpi contro l’epatite C, ma pare che solo la metà dei pazienti infetti avesse sviluppato anticorpi contro il virus.
Il primo postulato di Koch esige che un virus davvero nocivo debba essere presente in grandi quantità in ogni singolo paziente.
Il secondo postulato dice che le particelle virali devono poter essere isolate e coltivate.
Il terzo postulato prevede che gli animali infettati, come scimpanzé, debbano essere contagiati una volta iniettato loro il virus.
Questo virus ipotetico, l’epatite C, non soddisfa nemmeno uno dei tre postulati, ma gli scienziati Chiron annunciarono –nel 1987– di aver identificato il virus “epatite C”.
Nonostante queste evidenze, i ricercatori medici sono disposti a dichiarare infetto dal virus dell’epatite C un segmento enorme di popolazione, dichiarandoli in forma ‘latente’ che può estendersi oltre 20 anni.
Fu così che la Chiron, scavalcando i dettami della virologia, è felice di raccogliere i frutti della sua ipotesi di virus. Ha in seguito alla distribuzione dei primi test, intrapreso una campagna pubblicitaria particolarmente aggressiva per cercare nuovi alleati tra i medici. Ciò ha portato a un documento, in corso di pubblicazione, su riviste autorevoli come Science, a cura di Dan Koshland, Jr., professore di biologia molecolare e cellulare presso l’Università della California a Berkeley. Edward Penhoet, chief executive officer di Chiron, è inoltre professore di biologia molecolare e cellulare presso l’Università della California a Berkeley. Il National Institutes of Health (NIH) appoggia la teoria di Chiron sul virus dell’epatite C. e presta loro il peso della sua credibilità nel campo.