I soldi che abbiamo in tasca o nel portafoglio in realtà… non esistono. Già, perché tutte le banconote di cui disponiamo appartengono alla Banca Centrale Europea. Ci spieghiamo meglio: fino a qualche tempo fa, il denaro costituiva semplicemente il diritto di riscuotere una certa quantità di oro presso la banca.
Proprio per questo motivo, i soldi venivano chiamati note di banco, successivamente modificati in banconote. Per molto tempo, le procedure rimasero le stesse: le banconote non appartenevano alle singole persone, ma alla banca che le aveva prodotte, cioè emesse, ma in cambio di esse i cittadini avevano la possibilità di pretendere una certa quantità di oro.
Con gli accordi di Bretton-Woods risalenti al 1944, invece, si stabilì che solo le banche centrali potevano cambiare i soldi in oro, passando attraverso il cambio in dollari. In questo modo, gli Stati Uniti divenivano l’unico Paese ad avere il potere di eseguire direttamente il cambio tra banconote e oro: come conseguenza non secondaria, il dollaro guadagnava un enorme potere in tutto il mondo. La situazione cambiò, tuttavia, nel 1971, quando i Paesi che facevano capo all’Opec decisero che il petrolio non andava più pagato in dollari, ma in oro. Un problema di non poco conto, perché a Fort Knox, vale a dire nel forziere americano ufficiale in cui erano custodite tutte le riserve d’oro, gli Stati Uniti non disponevano certamente di tutto l’oro che serviva per convertire le banconote. In altre parole, gli americani avevano stampato le banconote dal nulla, ma il giocattolo, alla prima difficoltà, si era rotto. Per questo motivo il presidente Nixon stabilì che il Paese avrebbe bloccato in maniera definitiva la convertibilità tra dollari e riserva aurea. In pratica, le banconote attuali sono semplici pezzi di carta, di proprietà delle banche (nel caso degli euro, della Banca Centrale Europea), che non hanno alcun valore se non quello che gli attribuiamo noi stessi. Se il denaro viene stampato in questo modo, tuttavia, sarebbe giusto che a esserne proprietari fossero i cittadini privati, cioè coloro che per convenzione accettano la valuta. Proprio perché a stabilirne il valore sono le persone. In altre parole, sono sempre di più le teorie economiste che propongono di accreditare la moneta ai cittadini e allo Stato, e non più addebitarla come avviene adesso.
E’ evidente, per altro, che tale proposte si propone di svincolare l’utilizzo delle banconote dal predominio delle banche, nazionali e internazionali, che soprattutto in un periodo di profonda crisi economica come quello che l’Europa sta vivendo in questo momento vengono contestate per il loro eccessivo potere. Ri-assegnare la proprietà della carta moneta ai cittadini e allo Stato vorrebbe dire garantire che lo Stato stesso possa stampare moneta in caso di estrema difficoltà – anche a fronte del rischio di inflazione – e soprattutto far sì che le banconote acquisiscano un valore concreto ed effettivo. Quando, all’inizio, sostenevamo che i soldi che abbiamo in tasca in realtà non esistono, ci riferivamo al fatto che essi rappresentano solo una piccolissima parte del potere delle banche. Pensiamo alle banconote che fisicamente depositiamo quando apriamo un conto corrente: quei soldi non sono più nostri. Se è vero, infatti, che la maggior parte delle attività di un ente bancario si basa sulla concessione dei prestiti e sui guadagni derivanti dagli interessi che da essi provengono, è altrettanto vero che tali prestiti non si concretizzano nella concessione di banconote fisiche al richiedente, ma nel trasferimento di denaro virtuale al suo conto. Denaro virtuale che poi dovrà essere restituito fisicamente, andando ad incrementare una sorta di circolo per cui sempre più banconote entrano in banca, e sempre meno ne escono. E’ ormai accertato che se anche solo il due per cento dei correntisti di una banca decidesse di ritirare contemporaneamente i propri soldi dal conto, la banca non sarebbe in grado di soddisfare la richiesta, in quanto non dispone della quantità di banconote necessaria. Da questa considerazione, poi, discende tutta una serie di teorie e ipotesi, non solo relativamente all’etica e alla morale dei comportamenti delle banche, ma anche, più concretamente, al destino della carta moneta nell’epoca attuale, in cui la bolla finanziaria pare inglobare ogni singola attività. La richiesta avanzata da alcuni giornalisti e esperti del settore – anche autorevoli, come Report – di ridurre i pagamenti in contanti al minimo per contrastare l’evasione fiscale, ha come effetto collaterale la creazione di un denaro virtuale, non a disposizione dei cittadini, ma in mano solo alle banche.