I giornalisti del noto quotidiano britannico il “Guardian“, hanno dichiarato di voler indagare in merito alle origini dell’impero immobiliare di proprietà del Vaticano. Si tratta di un patrimonio enorme che si estende in Francia e in Svizzera fino a raggiungere il centro di Londra. Le fonti economiche che hanno reso possibile la realizzazione di tale impero fanno risalire alla figura di Benito Mussolini.
Negli anni del fascismo, l’ex Stato Pontificio ricevette da Mussolini una ricompensa in danaro, pari a 680 milioni di euro, per aver accettato di benedire il fascismo, un rito che avrebbe apportato lustro al regime.
Secondo le informazioni raccolte dai giornalisti inglesi, sembra che parte di questi soldi, circa 18 milioni di euro, furono utilizzati dal Vaticano nel 2006 per acquistare proprietà immobiliari di enorme prestigio, sia a Parigi che a Londra. Ciò che ha maggiormente colpito la redazione del Guardian è stata la tecnica strategica usata negli anni per nascondere la provenienza del danaro: a tale scopo è stata imbastita una fitta rete di società offshore e prestanome, tra cui la Grolux Investments Ltd, i cui azionisti intestatari sono risultati essere due banchieri cattolici.
[ai_ads]
Il Guardian non è riuscito a scoprire chi realmente si nascondesse dietro la Grolux Investments Ltd ma, grazie ad una serie di documenti conservati alla camera di commercio britannica, la verità sta emergendo. Sembra che le risorse economiche della Grolux provengano dal riassetto di altre due società, Grolux Estates Ltd e Cheylesmore, a loro volta controllate dalla JP Morgan di New York, sottoposta alla supervisione della Profima SA, una compagnia svizzera. Dal National Archives in Kew è risultato che la Profima SA è di proprietà del Vaticano.
Il direttore della sala stampa vaticana padre Federico Lombardi, commentando l’articolo del Guardian si è dichiarato stupefatto dicendo:
“Sono cose note da 80 anni, con il Trattato del Laterano e chi voleva una divulgazione del tema a livello popolare si poteva leggere ‘Finanze vaticane’ di Benny Lai».