Je suis Charlie: ecco come è nato lo slogan pro libertà di espressione che ha fatto il giro del Mondo
La breve frase “Je suis Charlie” ha monopolizzato l’informazione nell’ultimo periodo, dopo l’attentato alla sede della rivista satirica “Charlie Hebdo“. Ma chi è stato a disegnare l’immagine diventata ormai famosissima in tutto il pianeta?
Si tratta di un giornalista, Joachim Roncin, che si è ispirato alla scritta “Dov’è Wally?“, la cui traduzione francese è “Où est Charlie?”. L’incredibile successo dello slogan – su Twitter l’hashtag “#JeSuisCharlie” è stato utilizzato da oltre cinque milioni di persone ed è diventato di gran lunga il più popolare – ha attirato, però, anche l’interesse di persone che vogliono lucrarci sopra, ecco perché l’autore si è mosso in sua difesa. Quello che era un messaggio in tutela della libertà d’espressione e di solidarietà nei confronti delle vittime dell’attentato si è trasformato in qualcosa di molto più grande, uno slogan la cui immagine è stata utilizzata in molte manifestazioni e raduni che si sono svolti in tutto il Mondo e che ha invaso i social network, sino ad arrivare alle prime pagine di decine di giornali internazionali. Il primo a pubblicarlo su Twitter è stato proprio l’autore, che scrive per la rivista “Stylist“, circa un’ora dopo l’attentato in quel di Parigi.
Roncin abita non lontano dalla redazione nella quale i terroristi sono entrati spargendo sangue e morte, e ha dichiarato di aver realizzato la celebre immagine poco dopo la diffusione della notizia dell’attentato. Nelle sue intenzioni, la scritta non era destinata a trasformarsi in simbolo pubblico, né era stata creata per esprimere solidarietà o come messaggio in favore della libertà di stampa; era semplicemente l’espressione di un sentimento personale, in primo luogo di paura poiché Roncin era spaventato da quanto accaduto a poca distanza da casa sua. Mai avrebbe immaginato che la sua creatura sarebbe diventata di dominio pubblico nel giro di poche ore, tradotta persino in varie lingue, fra cui inglese, italiano, tedesco e spagnolo. Uno slogan che ha basato il suo successo sull’empatia e la vicinanza.
Ma dietro alla scritta “Je suis Charlie” non c’è stata soltanto solidarietà in questi giorni: tante persone, già poche ore dopo la sparatoria, hanno cercato di registrare dei domini web con la frase dello slogan. L’INPI francese, “Istituto Nazionale della Proprietà Intellettuale”, ha comunicato attraverso una nota di aver rifiutato oltre 120 richieste per la registrazione del logo e l’AFP, “Agence France-Presse”, ha precisato che due fra queste richieste erano in qualche modo collegate alla vendita di armi. Ma a brevettare il logo ci hanno tentato anche fuori dai confini francesi: in Australia ci ha provato un fashion designer e in Belgio un uomo d’affari avrebbe voluto piazzare lo slogan su una gran varietà di oggetti, dai vestiti ai giocattoli, passando per i prodotti per la lavatrice e persino sulle decorazioni per l’albero, nonostante il Natale fosse appena trascorso.
I tentativi di ricavare dei soldi da uno slogan nato con tutt’altro significato hanno infastidito non poco Roncin, che così ha deciso di proteggere la paternità del logo sfruttando le leggi di copyright. Per tale ragione il giornalista ha avanzato il 15 Gennaio la richiesta di registrazione del marchio. Gli svariati tentativi di commercializzare lo slogan sono stati criticati da più parti ma non hanno destato scalpore: c’era da aspettarselo – è il parere degli esperti di marketing – poiché un fenomeno simile è accaduto altre volte in passato. Di recente aziende o persone coinvolte in un modo o nell’altro in grandi tragedie, intervengono in prima persona per registrare i loro stessi marchi (come ad esempio la sigla di un volo aereo) per evitare che altri lo facciano con l’intento di guadagnare.