L’uomo più vecchio di circa 700 mila anni. Una mandibola ritrovata in Etiopia riscrive la nostra storia
Secondo due studi pubblicati sulle prestigiose riviste “Science” e “Nature“, la comparsa del genere Homo sulla Terra sarebbe da ricollegare a più di 700 mila anni rispetto a quanto si era stabilito in precedenza.
Nonostante si tratti di due studi completamente diversi tra di loro, i responsabili delle ricerche sono giunti alla stessa interessante conclusione. Il primo studio, attuato dall’Università dell’Arizona e pubblicato da Science, si basa su un fossile di Homo con caratteristiche differenti dai progenitori Australopiteci, nonostante esso abbia ugualmente dei caratteri ancora primitivi. Questo fossile ( si tratta di una mandibola, ribattezzata LD 350-1 e rinvenuta a pochi chilometri da dove, nel 1974, venne ritrovata Lucy) , ritrovato in Etiopia durante il 2013, nel sito di Ledi-Gerau, rappresenta la più antica dimostrazione concreta di un appartenente al genere Homo. Questo ritrovamento sposta la nascita del genere umano vero e proprio a 2,8 milioni di anni fa.
Per quanto riguardo il secondo studio, sviluppato dall’Istituto Max Planck di Lipsia e pubblicato da Nature, la nuova datazione della comparsa dell’uomo è data da una sorta di revisione di reperti già noti da tempo, esattamente dagli anni ’50. Questo riesame è stato attuato tramite tecniche moderne quali la tomografia computerizzata e tecnologie di visualizzazione in 3d.
In base a questi due studi, la comparsa del genere Homo viene anticipata; non si tratta di certo di una scoperta che stravolge quanto sapevamo in precedenza, bensì costituisce semplicemente un arricchimento delle nostre conoscenze sull’evoluzione dell’uomo.
Come ha spiegato il paleontologo Lorenzo Rook, dell’Università di Firenze, questi due studi dimostrano quanto sia importante la ricerca di nuovi resti e quanto si possa ancora imparare da materiali scoperti anni fa, da cui grazie alle nuove tecnologie si possono ancora trarre preziose informazioni.