Il Papilloma Virus o HPV, è un virus a DNA famoso per le lesioni che provoca a livello cutaneo, come le verruche, e mucoso, come i condilomi. Ancor più famosa è la sua fama di agente cancerogeno del collo dell’utero e non solo (può provocare tumori maligni all’ano, all’esofago, alla laringe e al cavo orale).
I ceppi implicati nell’azione neoplastica sono soprattutto il 6, 11, 16 e 18.
Attualmente esistono 2 vaccini in commercio che sono il Cervarix e il Gardasil, ma ancora è presto per parlare di una vera efficacia di questa immunoprofilassi.
L’HPV si contrae tramite contatto diretto (rapporti sessuali, per via orale e cutanea) o in luoghi poco puliti (ad esempio bagni pubblici). Non è presente in liquidi biologici quali sangue o sperma. Purtroppo l’utilizzo del profilattico non pare avere azione protettiva completa in quanto l’infezione è spesso diffusa anche alla cute della vulva e del perineo, zone non coperte da tale mezzo.
L’unico esame fin’ora disponibile nella diagnosi precoce di lesioni da HPV è il Pap-test, che consiste in un prelievo citologico eseguito durante una normale visita ginecologica.
Si tratta di un esame indolore che però non viene ben accettato da tutte le donne che evitano di eseguire lo screening che consiste in un pap-test ogni 3 anni sopra i 25 anni di età (per quanto riguarda l’Italia).
Uno studio condotto dalla London School of Medicine and Dentistry ha scoperto che è possibile individuare il virus nelle urine dei pazienti; in particolare i due ceppi del virus responsabili del 70% dei casi di cancro alla cervice uterina: il 16 e il 18.
Il team di scienziati ha scoperto che tale esame è in grado di rilevare l’87% dei casi positivi e il 94% di quelli negativi, quindi una buona sensibilità e specificità del test come screening.
La speranza è quindi che per tutte le donne e, soprattutto per quelle nei paesi del terzo mondo, sia più facile attuare una diagnosi precoce delle lesioni neoplastiche provocate dall’HPV.