Era il 21 aprile 2016 quando, nell’ascensore di Paisley Park, in Minnesota, fu ritrovato privo di vita il cantante e ballerino Prince. Dopo attente indagini si scoprì che, una settimana prima, Prince era stato sottoposto ad un save shot, una lavanda gastrica d’urgenza per liberarlo dall’overdose di oppiacei.
È passato un anno e le rilevazioni sulle cause della sua morte non sono finite. Infatti, sono stati pubblicati gli atti delle indagini delle autorità locali, esattamente 11 mandati di perquisizione datati nel periodo compreso tra quello della morte del cantante e i 5 mesi successivi. Durante le fasi di ricerca, la polizia trovò oltre 100 pillole a base di oppio nella dimora dove Prince risiedeva abitualmente.
Le pillole erano contenute in contenitori con diciture e marchi diversi. Diverse sono le zone dell’appartamento in cui furono ritrovati i barattoli, alcuni nella stanza da letto, altri in una valigetta che il cantante utilizzava per spostarsi nei viaggi di breve percorrenza. La certezza che Prince fosse dipendente dall’oppio è data dalla composizione delle pastiglie, al loro interno un mix realizzato con paracetamolo, idrocodone e fentanyl. Un cocktail oppiaceo più potente dell’eroina e della morfina.
Intanto dalle indagini è emerso che molti dei medicinali presenti nella residenza del cantante erano stati segnati a nome del capo delle guardie del corpo del cantante, Kirk Johnson e, inoltre, gli inquirenti hanno concluso che il cantante si affidava a più medici, che per il momento non risultano ancora indagati. A questo punto le indagini si sono concentrate sulle persone più vicine al cantante e in particolar modo alla sua guardia del corpo e al medico Michael Schulenberg che seguiva le condizioni di salute e prescriveva le medicine necessarie e richieste dal cantante.
Johnson ha ammesso che non ha mai avuto idea che il suo capo facesse abuso di medicinali e anche il medico, indagato, sostiene che le prescrizioni sotto falso nome erano state suggerite dal cantante stesso per tutelare la sua privacy.