Da cosa nasce cosa. Quante volte un libro o un film hanno risvegliato in voi la voglia di approfondire, di studiare, di capire. E tanto più grande è il mistero, tanti più argomenti ed elucubrazioni ne fuoriescono.
Mai nessun film ha lasciato nel suo pubblico più domande di “Shining” di Stanley Kubrick. Cosa c’è sotto? Cos’è che muove la pazzia del protagonista? Qual è la trama dentro la trama? In cosa si cela il significato ultimo che ha animato questa geniale pellicola?
È la domanda che insieme a noi si è fatto per trentatre anni Rodney Ascher, l’autore di un documentario dal titolo “Room 237″. Anche lui, da ragazzo, quando al Cinema ha visto la proiezione del capolavoro di Kubrick ha avuto una sensazione di inquietudine profonda, tanto che è dovuto scappare prima della fine del film.
Da allora ne è rimasto completamente coinvolto ed affascinato, tanto che non solo è tornato a vederlo più e più volte, ma addirittura ha sentito l’intima necessità di scoprirne fino in fondo il significato, anche il più remoto e misterioso accenno. È così che nasce il suo studio ed il documentario, che segreto dopo segreto, passa in rassegna e scansiona, ingrandisce e ricollega, i più minuscoli particolari nascosti, cercando simbologie e messaggi subliminali.
Ciò su cui ci si interroga non è la “luccicanza” che, in inglese, da il titolo al film e che, di fatto è ciò che da al bimbo il potere di vedere oltre ciò che gli occhi vedono. Quello che viene sviscerato in questo studio sono le immagini, le piantine, le leggende che possono delinearsi ad insaputa dello spettatore, muovendosi occultamente per suscitare una sensazione e lasciare traccia di una storia effettivamente non raccontata, attraverso l’emozione.
Il documentario non dà risposte, ma possibilmente evoca altre domande. Domande che non ci eravamo magari mai posti guardando il film, ma che sicuramente dovremo porci dopo aver visto “Room 237”.
Analizzando le sequenze della pellicola, scopriamo insieme ad Ascher, cose incredibili. Troviamo addirittura la faccia di Kubrick nascosta nelle nuvole.
Il documentario è passato in rassegna dall’autore con l’aiuto di alcune voci fuori campo, tra cui Bill Blakemore, reporter di ABC, che ritiene che nelle immagini del film sia celato un riferimento al genocidio dei nativi americani.
Ipotesi diverse vedrebbero invece una trasposizione alternativa e allucinata della tragedia dell’Olocausto.
Per altri, “Shinig” sarebbe uno scrigno contenente le confessioni private del regista o ancora messaggi nascosti che svelassero la falsità dell’allunaggio dell’Apollo11, la cui paternità del video fu assegnata, da voci non confermate, proprio a Kubrick.
Chi però diede il via vero e proprio a questa ossessionante ricerca di dettagli e riferimenti misteriosi, fu Tim Kirk, il produttore di “Room 237”, che conoscendo la passione del suo amico Ascher per “Shining”, gli presentò alcune nuove interpretazioni che avrebbero in qualche modo messo il film in relazione con la Guerra Fredda.
Il documentario parte da una scena rubata a un altro film di Kubrick,”Eyes Wide Shot“, nel pezzo in cui il protagonista interpretato da Tom Cruise si sofferma davanti ad un manifesto, che attraverso una ricostruzione digitale, risulta essere la locandina di “Shining” che riporta la frase: “The wave of terror that swept across America is here”; da qui parte tutto il riferimento alle tensioni tra i bianchi e in Nativi americani, che trova ulteriore conferma nella scelta della luogo su cui sorge l’albergo e dalla scena del film in cui il bimbo si trova nella dispensa e fissa il barattolo con l’etichetta Calumet (chiaro riferimento alla pipa cerimoniale degli indiani). Inoltre la storia raccontata alla famiglia circa il fatto che l’Hotel fosse stato costruito su un cimitero indiano non era presente nel libro di King
Per chi vuol trovare riferimenti al fatto che Kubrick avrebbe girato per la Nasa il falso filmato dell’allunaggio, risulterà emblematica la scena in cui il piccolo Danny giocando sulla moquette si alza lentamente mostrando la scritta Apollo USA sul maglione.
Il misterioso riferimento all’Olocausto sarebbe dato dal fatto che il numero 42 (anno della Soluzione Finale) ricorre più volte. Anche la macchina da scrivere con cui il protagonista scrive pagine e pagine con “il mattino ha l’oro in bocca” richiamerebbe all’ossessione dei Nazisti per le liste e gli elenchi. Questa stessa macchina ha il marchio di una fabbrica tedesca, Adler, che in inglese vuol dire aquila, simbolo del Reich che si trova anche su una delle maglie del protagonista.
Un ulteriore spunto di indagine ci viene dalla mitologia: Danny, infatti, si deve orientare in un labirinto, in cui forse il Minotauro è rappresentato dalle due gemelline uccise.
Insomma ce n’è per tutti i gusti nella fitta trama di questa incredibile tela, tanto che è impossibile districarsi: quale sarà stato il senso, il messaggio che Kubrick ha voluto lasciarci con questo film? Forse uno di questi o forse tutti… forse chissà, altri che nessuno ancora ha saputo cogliere.