Livelli di occupazione ai minimi storici, calo delle nascite, famiglie sempre meno propense ad acquistare e giovani sempre più spesso costretti ad emigrare per cercare fortuna. È un ritratto impietoso quello costruito, sulla scorta di dati certificati, dal Rapporto Svimez 2014 riguardante le condizioni economiche del Sud Italia.
Nonostante la terra fertile per cui è universalmente conosciuto, il Mezzogiorno continua ad inaridirsi e mostra apertamente i segni di una crisi che non accenna a rallentare. Tra il 2008 e il 2013, infatti, i consumi delle famiglie si sono ridotti del 13% e l’industria ha tagliato i suoi investimenti del 53%, penalizzando il circa 20% degli addetti ai lavori.
A preoccupare maggiormente sono le informazioni relative alla disoccupazione diffusa. Nei cinque anni appena trascorsi quasi 600 mila persone hanno perso il posto di lavoro e per la prima volta da quando sono disponibili le serie storiche di dati (1977) il numero degli occupati è sceso sotto la soglia dei sei milioni (5,8 per l’esattezza).
Così, mentre il Centro-Nord riprende lentamente i propri ritmi di crescita, il Sud rimane indietro e concede poche speranze alle giovani generazioni, impegnate a combattere contro un tasso di disoccupazione che per gli under 35 ha raggiunto il 35,7%. È vero, dunque, che si incrementa il divario tra Nord e Sud, ma è vero anche che un quadro più preciso si avrebbe considerando altresì i “disoccupati impliciti”, ovvero coloro i quali non si sono dedicati ad azioni di ricerca nei sei mesi che hanno preceduto la stesura del Rapporto Svimez.
Le prospettive future rimangono scarsamente allettanti. Nel 2013 il Mezzogiorno ha visto nascere solo 177 mila bambini, un record negativo che rimanda ai periodi post-bellici d’Italia (1867 e 1918). Le indagini condotte dall’Istituto hanno dimostrato che il numero dei decessi continua a superare quello delle nascite e hanno teorizzato un imminente “stravolgimento demografico“, a causa del quale il Sud potrebbe arrivare a perdere circa 4,2 milioni di abitanti.
A detenere il primato come regione più povera della nazione è la Calabria (con un Pil procapite pari a 15.989 euro); la più ricca è, invece, la Valle d’Aosta, seguita da Trentino Alto Adige, Lombardia ed Emilia Romagna (tutte con Pil procapite superiore ai 30 mila euro).
Nel Mezzogiorno si distingue l’Abruzzo (con 21.845 euro), mentre arrancano la Sardegna, la Basilicata, la Puglia, la Campania e la Sicilia.
Complessivamente, il Rapporto Svimez rivela un valore procapite del Pil che si aggira –per il 2013 e limitatamente al Sud Italia- al 56,6%, lo stesso del 2003; segno di una ripresa che tarda ad arrivare e che rende ogni giorno più tangibile il rischio di:
“Uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili“.