Turchia, scoppia un’autobomba a Diyarbakir: l’attentato segue l’arresto di alcuni deputati filo-curdi
ARRESTI POLITICI IN TURCHIA – Non c’è pace per la Turchia: dopo i fatti di sangue degli ultimi mesi e il tentato golpe ai danni del discusso presidente Recep Tayyip Erdoğan, la tensione torna a salire e, stando agli osservatori internazionali, gli accadimenti delle ultime ore potrebbero essere la spia di un’ennesima escalation dagli esiti imprevedibili. A innescare la nuova scia di sangue è stato l’improvviso arresto di alcuni parlamentari e di diversi esponenti dell’HDP (Partito Democratico del Popolo), movimento molto vicino alla causa del popolo curdo; gli arresti hanno riguardato, in particolare, Selahattin Demirtaş (leader del partito) e la giornalista Figen Yüksekdağ, oltre ad altre personalità di minor rilievo.
Da tempo, infatti, Erdoğan sostiene che l’HDP costituisce il vero braccio politico del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), organizzazione para-militare che in Turchia è stata messa al bando: i fermi sono stati eseguiti dopo che i deputati, a cui è stata revocata di recente l’immunità parlamentare, si sono rifiutati di comparire spontaneamente di fronte alla magistratura.
LO SCOPPIO DI UN’AUTOBOMBA A DIYARBAKIR – Nelle ore successive agli arresti, tuttavia, è arrivata la presunta risposta da parte degli oppositori di Erdoğan: a Diyarbakir, popolosa città nel sud-est del Paese, è scoppiata infatti un’autobomba proprio nei pressi di un edificio della polizia che, fortunosamente, non ha causato vittime. Sarebbe comunque di 30 feriti, stando a quanto riferiscono i media turchi, il numero dei feriti accertati e, anche se non c’è stata alcuna rivendicazione, l’esecutivo ha puntato il dito contro il PKK, parlando delle vittime come di veri e propri “martiri” del terrorismo e attuando il solito giro di vite. Alcuni attivisti, nelle ultime ore, hanno lamentato infatti il blocco governativo dei principali social network e il verificarsi di numerose retate da parte delle forze speciali di polizia.