Vaticano: La vera sfida per Papa Francesco, scardinare i decennali rapporti tra mafia e Chiesa
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Nessuna novità: erano già gli anni settanta e ottanta quando iniziarono a venire alla luce i rapporti stretti che intercorrevano tra la mafia e il Vaticano.
Naturalmente i legami criminali erano riferiti anche e specificatamente a questioni economiche, tanto che i già citati scandali interessarono lo IOR, la Banca vaticana allora diretta dal cardinale Paul Marcinkus .
E se è vero che il Presidente della Banca fu poi indagato dalla Procura italiana, è altresì risputo che la protezione della Chiesa seppe assicurare allo spregiudicato prelato l’immunità dalla giustizia, garantendogli una parrocchia negli Stati Uniti, da cui non potesse essere richiesta l’estradizione.
In quegli anni allo IOR si gestivano, tra gli altri, i soldi e gli affari dei due grandi faccendieri Michele Sindona e Roberto Calvi, gli stessi che furono artefici di enormi truffe al Banco Ambrosiano. Sindona, banchiere senza scrupoli, aveva traffici finanziari di grandissime proporzioni, tanto da essere battezzato da Giulio Andreotti “salvatore della lira“, finché non fu accusato di corruzione e bancarotta fraudolenta. Attraverso Michele Sindona furono gestiti gli interessi finanziari del mafioso americano John Gambino e dei boss Bontate, Inzerillo e Spatola per i quali riciclava il denaro sporco.
Anche durante tutte queste vicissitudini giudiziarie il legame tra IOR e Sindona continua a rimanere stretto, anche e soprattutto per volontà di Paul Marcinkus, il quale decise inoltre di cedere al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi parte della propria quota di maggioranza della Banca Cattolica del Veneto. Quest’ultimo, anch’esso processato per reati valutari, si occupò di finanziare Paesi e associazioni politico-religiose come Solidarność in Polonia e i Contras in America Latina “allo scopo di contrastare la penetrazione e l’espandersi di ideologie filo marxiste”, tanto da meritare il soprannome di “Banchiere di Dio”.
Sia Calvi che Sindona facevano parte della loggia massonica P2, esattamente come l’imprenditore Licio Gelli che ne era l’elemento di spicco. A questo spregiudicato gruppo di politici, finanzieri e criminali si attribuiscono, oltre il cospirazionismo politico per il controllo del Paese, la partecipazione al golpe borghese, la strage dell’Italicus, la strage di Bologna, lo scandalo del Banco Ambrosiano, il depistaggio circa il rapimento di Aldo Moro, Tangentopoli, l’assassinio di Papa Luciani e l’omicidio di Roberto Calvi.
Fu proprio sotto il papato di Paolo VI, grazie al lavoro di Mafia e P2, che lo IOR divenne il vero centro mondiale della finanza sporca. Né la Chiesa né lo Stato seppero o vollero metter fine al dilagare della corruzione e del marciume, soprattutto perché erano troppi i nomi di personaggi di rilievo e di grande potere, ad essere coinvolti.
Quando nel 1978 il Papato passò a Luciani, qualcosa sembrava voler cambiare, ma… un pontificato di appena 33 giorni non ha potuto certamente sovvertire una consolidata organizzazione criminale. E fu proprio dopo aver confidato di voler ripulire il Vaticano ai propri collaboratori, tra cui il segretario di stato Jean Villot, che Papa Giovanni Paolo I morì, secondo molti, vittima di una qualche cospirazione. Il Cardinale francese fu un uomo di grande potere in Vaticano e certamente consapevole del ruolo dello IOR e della Chiesa nei loschi affari di mafiosi e massoni.
Il pontificato più florido per questi intrecci sporchi è stato, paradossalmente, quello di Giovanni Paolo II, durante il quale ci fu il rapimento della figlia di un usciere vaticano, Emanuela Orlandi. Ancora non si è fatta luce sui fatti, ma la giovane non è mai stata ritrovata. È comunque noto che diversi monsignori e preti intrattenevano in quel periodo rapporti con il boss romano Enrico De Pedis, capo della Banda della Magliana, che avrebbe donato parecchio denaro al vaticano, non senza trarne profitto.
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Arrivando ai giorni nostri, risale al periodo tra la rinuncia al soglio pontificio di Benedetto XVI e l’elezione di Papa Francesco, l’uscita di scena del banchiere Ettore Gotti Tedeschi, col quale si era scontrata ultimamente la Curia, con accuse riguardanti la gestione della Banca.
Era, infatti, sotto indagine lo IOR in merito a collegamenti con la ‘ndrangheta, per cui fungeva da riciclo per il denaro sporco.
Il Pubblico Ministero Gratteri nel suo libro conferma che i membri delle cosche mafiose calabresi e siciliane ostentano una grandissima fede, con elargizioni ed offerte, partecipazioni e regali a parroci e vescovi.
Tra gli altri Matteo Messina Danaro, il boss di Cosa Nostra, sarebbe, per alcuni, il primo tessitore di queste trame losche, che talvolta vengono alla luce, spesso grazie a segnalazioni di pentiti, ma molto più frequentemente passano sotto silenzio.
È contro tutto questo che Papa Francesco vuole provare a combattere, cercando di ripulire la Chiesa come già Papa Luciani intese fare; questa è la ragione per la quale il PM Gratteri è in pensiero per l’incolumità del papa, che rischierebbe di fare la stessa fine di Giovanni Paolo I.